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Questa Nuova Vita

Sul diventare madre e la vita di "coppia".



Sapevo sarebbe stata una bambina. Non lo so il perché, ma ho subito avuto questa sensazione.

Me lo ricordo come fosse ieri, sedute sul divano, a guardare il film “A Beautiful Life”. E l’ho detto a Kim “Io lo so che sarà una bambina.”


Non sapevo nulla di cosa volesse dire “essere genitore”. Sapevo come i miei sono stati genitori con me, ma esserlo -in prima persona- è cosa totalmente diversa. Hai nove mesi per provare a capire come sbrigartela quando non dovrai più badare solamente a te stessa: così cominci e leggere libri, informarti, ascoltare opinioni di chiunque, per poi alla fine renderti semplicemente conto che non c’è un modo per arrivare preparati.

Ti ritrovi, nel bel mezzo di un mattino albeggiante, a dover vivere una vita totalmente nuova, senza alcun libretto d’istruzioni.

Hai in braccio un essere che ancora non è fino in fondo essenza. Un essere che non sa di essere. Un essere che dipende da te al 100%, e anche se non hai la più pallida idea di come muoverti, sembra che tutto venga naturale.


Nel preciso istante in cui ho preso Ellis in braccio la prima volta, ho capito che non avevo ancora trovato il mio posto nel mondo. Perché il mio posto nel mondo è apparso in quel momento.

Forse, in questo, quasi tutti i genitori concorderanno: sei li, con questa roba minuscola in mano. Da una parte ti caghi addosso, perché sai che non hai veramente un’idea di cosa succederà da quel momento in poi; dall’altra, sembra che tutti i pianeti si siano allineati, e tu finalmente capisci chi sei.

Sono sensazioni contrastanti, che fanno paura, che non riesci esattamente a comprendere, e inconsciamente sai che sarà così ora la vita: un’incognita e una scoperta continua.


Inutile dire cose non vere: è dura a tratti. È dura trovare il nuovo ritmo; è dura abituare corpo e mente a una stanchezza diversa; è dura comprendere il pianto e placarlo; è dura perfino mangiare o andare in bagno.

È dura anche quando amici, parenti, gente sconosciuta o di non particolare legame affettivo, comincia a scannerizzare tua figlia facendo paragoni con i loro di figli. Ecco, se ho imparato velocemente una cosa è:  ascolta tutti, ma soprattutto ascolta il tuo pargolo, e decidi assieme al tuo partner. Perché ogni bambino è diverso -per fortuna, e ogni bambino ha necessità e ritmi tutti suoi. I consigli son sempre ben accetti, ma poi bisogna vedere se quella cosa funziona oppure no, per la propria creatura.


La cosa che un po’ mi fa ridere e un po’ no, è che quando sono così piccoli tendiamo a giudicarli “bravi” o “non bravi”, in base a quanto piangono-dormono, o alla loro capacità di star nella culla senza il costante contatto genitoriale. Non fa sorridere sta cosa?

“Mia figlia è bravissima, dorme sempre e non piange mai”.

“Ah no, la mia invece un disastro.”

Fa ridere. In cuor mio penso che non dovremmo farlo. Non dovremmo già definirli in base a un qualcosa che viene deciso da loro solo in maniera totalmente inconscia. Eppure in questa trappola ci si finisce sempre prima o poi.


A conti fatti, forse, la bellezza vera che scopri - oltre a questo respiro nuovo costantemente in sottofondo- è comprendere anche qual’è la nuova connessione che si crea tra la coppia. Infatti, la coppia non è più coppia. È un terzetto. Un terzetto nella quale si sviluppa una danza di equilibrio sottilissimo, e dove a dettare il tempo non siamo più io e Kim.

Almeno per ora.

A tratti è strano, perché fino a poco tempo fa ogni cosa era a due. Quando andavamo a casa nostra, per esempio, riempivamo il baule di cose nostre. Ora il baule è pieno di Ellis: passeggino, culla, borse borsette borsettine, pannolini. E per me e Kim è rimasto lo spazio tra il sedile posteriore e quello anteriore: se la nostra roba ci sta li, allora siamo perfetti, altrimenti dobbiamo togliere qualcosa.

Ed è così anche nel quotidiano, per il tempo: quello che rimane, ad oggi, da dedicare alle nostre cose, è uno spazio incastrato tra un riposino e un rigurgito. Tra un bagnetto profumato e stendere gli ottomila body che laviamo ogni due giorni.

Ed è incredibile come ti accorgi che prima perdevi un sacco di tempo: ora in 10 minuti riesco a fare cose che prima mi ci volevano giorni. Non c’è un rimandare, c’è solo l’adesso: possibilmente da svolgere in modo preciso e rapido, che meno tempo si spreca meglio è. E le notti? Se in passato capitava di svegliarmi in piena notte, il giorno dopo non esisteva. Potevamo facilmente skipparlo e andare al successivo, perché non sarei stata in grado di fare uno più uno. Adesso dormo 4 ore e mi sembra di aver dormito un mese. Certo, ogni tanto la stanchezza si fa sentire forte, ed è li che ritorna quella danza riservata alla coppia dove sostenersi e aiutarsi hanno l’effetto di non arrivare allo sclero totale.

Perché senti di non aver controllo assoluto sul tuo tempo.


Sembra di essersi persi a volte, e per alcuni -anche per me a momenti, è così.


Eppure poi, tra una cosa fatta di corsa e un’altra, mi giro e vedo due occhioni che mi guardano. Due occhioni in più rispetto al solito, coccolati da altri due occhi che non si stancano mai di guardarla. E quegli sguardi, mi arrivano fino allo stomaco, per ricordarmi -ogni volta che me lo dimentico, che il mio posto nel mondo è esattamente li.



(Vi lascio questa canzone, tanto bella quanto vera, che sarà per sempre tra le canzoni più significative per me.)











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