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Dimmi Che Non È Vero

Lontano

Ma Troppo

Vicino


Seduta in questo pullman freddo e scomodo, guardo la strada passare. C’è una luna pazzesca, che fa nascondino tra nuvole sottili. Fuori sembra freddo, un po’ come quei pensieri che anche se bollenti ti raggelano.

Ma tu dimmi che non è vero.

Scrollo su instagram, un po’ per passare il tempo, un po’ anche per tenermi aggiornata. Un po’ per noia, un po’ per staccare la mente. Ma la mente non si stacca, perché quando apri una delle mille app social che hai, non sai mai che notizie possono passarti davanti.


“Afghanistan: Uccisa, decapitata, perché giocava a pallavolo senza indossare il hijab”.


Aveva 18 anni. E una vita infinita davanti. Perché forse a 18 anni si ha anche un po’ il diritto di pensare che non si può morire per questo. Forse a 18 anni, in un mondo che sogno, puoi essere libero di essere chi vuoi nella tua strada verso la scoperta di te stesso.

Io di anni ne ho 32, mentre scrivo ho appena perso una partita, e nessuno mi ha aspettato fuori con un machete in mano pronto a tagliarmi la testa. Nessuno mi ha pestato, nessuno mi ha privato della mia libertà di espressione e di pensiero.

Sono qui, in questo pullman, e penso a quanto lontano quel mondo mi appare. Eppure è lì, dietro l’angolo. Mi sembra così distante perché certe cose non hanno mai toccato i miei occhi, ma dopo aver letto di questo fatto, non riesco a tenerlo anche lontano dal cuore.

Lo sento dentro, come un pugno nello stomaco.

Lo sento nelle mie azioni quotidiane, nel pane che mangio, nello sport che pratico, e anche in queste parole che scrivo. Lo vedo nei volti delle persone che amo, negli amici che hanno la libertà di essere chi vogliono, in tutte quelle donne che mi circondano.


Mi piacerebbe avere una soluzione. Ma dentro di me ora ho solo un casino di domande. Domande che scombussolano di brutto ogni mia priorità, domande che mi fanno anche un po’ incazzare, domande che troppo spesso non trovano risposte.

Siamo nel 2021, e viviamo in un Mondo così complessamente diverso che fa paura. Perché ciò che non conosciamo spaventa. Ma per un secondo, un secondo che dura ore, provo lontanamente a immedesimarmi in anche solo mezza anima di quelle donne che oggi sono costrette a vivere tremando, perché anche solo mezzo passo sbagliato può portarle alla morte. Provo a immaginare come si stia a non poter leggere, studiare, informarsi, scrivere. Provo a immaginare cosa possa voler dire non essere padrona del mio corpo, di sapere che così, per nulla, potrebbe essere portato via. Provo a immaginare al sentimento che potrei provare passando davanti a un campetto da basket, vedere una palla, sentire quella spinta interiore di andarla a prendere per far due tiri, e dover razionalizzare che, in quella situazione, non potrei farlo.


Provo a immaginare, ma so di non riuscirci.


A volte penso che troppo spesso ci dimentichiamo di quanto ognuna di queste cose sia tremendamente vicina a noi. Che le distanze che c’erano 100 anni fa, ora non ci sono più. E che basta un attimo per ritrovarsi li. E se mi ritrovassi lì, cosa farei? In che cosa spererei? Chi mi verrebbe a salvare, o anche solo a cercare? Chi mi penserebbe?

È vero che le mie parole non cambieranno un regime, e che non salveranno molto probabilmente nessuno. Ma so che queste parole potranno almeno salvare una parte del mio cuore, perché un pensiero vivo verso chi è in difficoltà forse un giorno potrà fare la differenza. Se ognuno di noi cominciasse a pensare veramente e profondamente a chi muore senza alcuna ragione, magari più che lottare per interessi futili, potremmo unirci per provare a fare qualcosa di meglio.

Tra qualche giorno anche sta storia finirà nel dimenticatoio, e li le donne continueranno a morire per nulla. Ma quel posto lontano, comunque non troppo, possiamo solo sperare che non si avvicini.



“Per questo ti devi svegliare ogni mattina sapendo che nessuna promessa è certa, e senz’altro non lo è quella di svegliarsi.”




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