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SAY NO TO BULL...YING

Loro spingono. Tu  Respira.  FRAMMENTI DI VITA

SAY NO TO BULL...YING

Penso di notte, ormai ho smesso di guardare l'ora. Se alle 4 del mattino, o poco prima o poco dopo.  Elaboro al buio. Poi scrivo nel mio giorno libero, quando non ci sono orari da seguire. Non scrivo mai a caso. Non sono mai pensieri che partono dal nulla. Hanno sempre un seme che la vita mi pianta in testa in momenti del giorno inaspettati.  Come una cena. Un incontro, e un racconto di chi si sfoga. Ho 12 anni, e piango. Lo so, sembra assurdo anche a me che a 12 anni si possa sentire questo male. Che è forse la prima vera botta con la realtà. Solo che mi si sbatte di continuo dietro la nuca ogni volta che prendo lo Scuola Bus. Mi tira per i capelli e mi trascina nel vortice della Vita insultandomi. Ma io vorrei solo leggere il mio libro. In pace. In silenzio. Non ho molti amici. Parlo poco. Adoro andare a scuola e ho un fratellino che mi fa impazzire dalle risate. È la mia forza, anche se lui ancora non lo sa. Però ho 12 anni, e piango. Credo che la mamma cominci a notare qualcosa. Mi fa sempre strane domande. Ma io non voglio dirle niente, non mi va di farla preoccupare. Vorrei solo fosse lei ad accompagnarmi a scuola. Quel bus è un universo a sé dove il tragitto è infinito. Buio. E lascia cicatrici che, spero, nessuno dovrà mai vedere. Ho 46 anni, e piango. Si, anche da più vecchi si piange, sopratutto quando si scopre che quella creatura che ami di più al mondo, tua figlia, è bullizzata. Erano giorni che la vedevo strana, ma non capivo cosa succedeva. C’era un velo triste nei suoi occhi: le madri questo lo notano subito. Ho pensato fosse solo un momento. Sai, l’età. Ma guardando bene vedevo qualcosa di più profondo. Di più buio. Vedevo un vuoto. Una mattina, poi, mi chiese se potevo accompagnarla io a scuola. La mattina dopo anche. Quella dopo ancora. Avevo paura a chiedere. Cominciavo forse inconsciamente a capire. Ma tra il pensarlo e averne la certezza, c’è quel muro di incredulità che ero terrorizzata ad abbattere. Ho 46 anni, e non so come aiutare mia figlia di 12. Il Preside della scuola dice che ci pensa lui. Convoca sia mia figlia che l’altro bambino, che nega tutto e dice di non aver mai fatto nulla. I genitori di lui lo difendono a spada tratta, dopotutto chi va a pensare che il proprio figlio possa essere un incubo per una sua coetanea. Dicono che il loro bambino non potrebbe fare mai nulla di simile, implicando in un circolo vizioso, che potrebbe non finire mai, che mia figlia sta mentendo. Una parte di me vorrebbe urlare fortissimo, mi ritrovo in conflitto con il mondo e non so farmi aiutare. È sempre e comunque la mia parola contro la loro. Mentre nel sorriso che mia figlia mi propina ci leggo un “Mamma, non ti preoccupare, me la saprò cavare.”, vedendo in lei una forza che non so dove trova ma che mi piace pensare arrivi anche un po’ da me. Da quelle serate in famiglia, tra di noi, a mangiare la pizza. Il divano con un film e la coperta condivisa con il fratellino. I giri in bicicletta la domenica, e quei PicNic in mezzo al prato. Spero che quella forza che ha risieda un po’ nel sapere che io ci sono, che può tenermi la mano, che può fidarsi del mio guardarla profondamente per capirla, e non solo per controllarla. Ho 31 anni. Non ho figli o figlie. Ho qualche Amico (pochi), una marea di libri e quaderni dove ho scritto fin da quando ero piccola. Non ho mai preso un bus per andare a scuola. Ho 31 anni, e questo mondo mi spaventa. Non so cosa mi riserverà il futuro, se avrò la fortuna di avere dei figli. Lo spero, e lo voglio. E se succederà, spero avrò il coraggio di guardarli negli occhi per vederne la profondità. Spero avrò il modo giusto per parlarci, comprenderli, sapere anche quando mi stanno prendendo per il culo. Magari insegnargli che più che prendere la Vita per i capelli o a sberle nella nuca, sarebbe più opportuno sedercisi accanto e farsela amica. Che la Vita poi non si dimentica…che un giorno è troppo tardi, e che è meglio fargli un sorriso. Perché dove non si arriva a comprendere con la mente, bisogna provare ad arrivarci col cuore. Dove non si arriva con il cuore, bisogna provarci con gli occhi. E se anche lo sguardo fatica a farsi strada, ci si può provare parlando. Le mani sono nel nostro corpo per accudire, accarezzare, sostenere. La forza sta in quel filo sottile tra la paura di chi si è e la prepotenza di chi si vorrebbe essere. Nella fragile incertezza che ognuno ha nell’affrontare il proprio silenzio. Esiste solo una forza che ci fa sentire bene, che ci riempie. La forza che vive nei gesti d’Amore.

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